DANIEL GOLEMAN, autore di Focus, perché fare attenzione ci
rende migliori e più felici, docente
di Psicologia ad Harvard, collaboratore scientifico del New York Times, autore
del bestseller mondiale Intelligenza
Emotiva.
Il libro di cui vi parlo, uscito nel 2013 ha come oggetto di
approfondimento l’attenzione, una risorsa mentale spesso sottovalutata, ma alla
base del modo in cui affrontiamo la vita e quindi del nostro benessere.
Secondo l’autore alla radice della nostra esperienza, della
consapevolezza che abbiamo di essa e del nostro modo di comportarci, c’è una
più o meno consolidata capacità di portare la nostra attenzione su 3 focus:
- gli altri
- il mondo.
L’ambiente in cui viviamo, così ricco di stimoli e di distrazioni -
cognitive, emotive e sensoriali - mette a dura prova la possibilità di
focalizzare la nostra attenzione su ciò che accade attorno e dentro di noi,
momento dopo momento. Questo ci rende assenti, o parzialmente presenti alla
nostra esperienza, alla nostra vita, al nostro lavoro, alla nostra famiglia, …
Allenare l’attenzione, come un muscolo del nostro cervello, ad
essere più focalizzata e allo stesso tempo aperta, è alla base di un percorso
di miglioramento delle nostre performance così come delle nostre relazioni.
“Quando siamo
preda di forti emozioni, queste ultime finiscono per prendere il controllo
della nostra attenzione e il risultato è che ci fissiamo su ciò che ci turba
dimenticando tutto il resto.Tali dirottamenti emotivi sono innescati
dall’amigdala, il radar del cervello per le minacce, che continua a esaminare
ciò che ci circonda alla ricerca di potenziali pericoli. (…) per quanto tempo
la nostra concentrazione resterà catturata? Ciò dipende dalla capacità dell’area
prefrontale sinistra di calmare l’eccitazione dell’amigdala. (…) La buona
notizia è che è possibile incrementare la capacità del circuito prefrontale
sinistro di calmare l’amigdala”.
L’autore indica
nella meditazione la via migliore per l’addestramento dell’attenzione, richiamando numerose
evidenze scientifiche di come durante la meditazione si attivino i diversi
circuiti cerebrali. Le tecniche di risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno
infatti permesso di dimostrare che nei soggetti esperti di meditazione si
riscontra una maggiore connettività neurale tra la regione cerebrale legata
alla mente vagante (circuito mediale) e quelle che disimpegnano l’attenzione
(circuito parietale).
Il protocollo Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR) di Jon Kabat-Zinn,
viene citato come un programma che essendo fondato sulla pratica meditativa del
portare attenzione a sé (pensieri, emozioni, sensazioni), agli altri (ascolto
attivo ed empatico) e al mondo (consapevolezza nella vita quotidiana), può
essere considerato un ottimo percorso per allenare l’attenzione.
Nella seconda parte del libro, si esplicita come la pratica meditativa dell’attenzione possa
essere utile in ambito lavorativo.
L’autore mette in luce come la meditazione rafforzi la capacità di
concentrazione e in particolar modo:
- la capacità della memoria di lavoro
- l’abilità di mantenere la concentrazione su qualcosa
Viene smitizzato il multitasking, considerato erroneamente sinonimo
di efficienza:
“In effetti, ‘fare
multitasking’ significa cambiare gli attuali contenuti della memoria di lavoro,
e le continue interruzioni rappresentano spesso minuti persi per tornare al
compito originario: prima di riprendere la piena concentrazione possono volerci
anche dieci o quindici minuti”.
La pratica meditativa viene indicata come una modalità per aiutare i
leader a definire strategie migliori, catturare e dirigere l’attenzione collettiva
su ciò che conta.
“Tra i segni di
quella che potremmo chiamare ‘sindrome da deficit di attenzione delle
organizzazioni’ ci sono le decisioni sbagliate, prese in mancanza di un numero
sufficiente di dati, l’assenza di tempo per la riflessione, la difficoltà a
catturare l’attenzione dei mercati e l’incapacità di concentrarsi quando e dove
è necessario.”
A volte le organizzazioni fanno fatica a distogliere la
concentrazione da ciò che è familiare, non si accorgono dei cambiamenti che
avanzano, li minimizzano. Ma ciò che avviene a livello di sistema corrisponde
al funzionamento delle singole menti.
“Il direttore
esecutivo della mente, l’arbitro che decide su cosa concentrarsi, gestisce
tanto la concentrazione richiesta dallo sfruttamento (del vecchio) quanto l’attenzione aperta necessaria
all’esplorazione (del nuovo).”
L’autore indica 2 tipologie di attenzione allenate dalla
meditazione:
- l’attenzione focalizzata: su un oggetto specifico: corpo, pensiero, emozione, ...
Allenare le menti dei singoli a staccarsi dagli oggetti di attuale
concentrazione per cercare nuove possibilità, sviluppa un atteggiamento di
flessibilità e innovazione che si propaga per l’organizzazione, così come
allenare le menti a concentrarsi su una specifica area, per migliorarne
efficienza e prestazioni.
“Le scansioni
cerebrali di 63 esperti dirigenti impegnati in una simulazione che chiedeva
loro di portare avanti delle strategie di sfruttamento o di esplorazione (o di
passare da una all’altra) hanno messo in luce gli specifici circuiti che stanno
alla base di questi 2 tipi di concentrazione. Lo sfruttamento era accompagnato
dai circuiti cerebrali dell’anticipazione della ricompensa (è piacevole operare
in una routine comoda e familiare), mentre l’esplorazione sollecitava
l’attività dei centri esecutivi e di quelli per il controllo dell’attenzione: a
quanto pare la ricerca di una alternativa alle strategie attuali richiede una
concentrazione intenzionale.”
Infine, il punto a mio avviso più interessante che l’autore sviluppa
è quello legato alla possibilità che la pratica meditativa dell’attenzione
aiuti i leader a vedere più chiaramente il quadro di insieme.
“Se vediamo una
compagnia semplicemente come una macchina per fare soldi, ignoriamo di fatto la
sua rete di connessioni con le persone che vi lavorano, le comunità in cui
opera, gli utenti, i clienti e la società in generale. I leader con una visione
più ampia si concentrano anche su tutti questi rapporti.“
La meditazione diventa dunque uno strumento per ampliare la vision
di chi guida le nostre aziende, allargare lo sguardo su una rete più grande di
persone, che vada oltre gli interessi personali o di parte e si occupi del
“bene comune”.
“I leader di
questo tipo sono in grado di ispirare la gente: perseguono uno scopo comune più alto che dà significato e coerenza al
lavoro di tutti, e coinvolgono emotivamente le persone attraverso valori (….).”
“I grandi leader
non si accontentano di accettare i sistemi per come sono, ma vedono in
prospettiva che cosa possono diventare e, quindi, lavorano per trasformarli in
qualcosa di meglio, a beneficio della maggioranza delle persone.”